Orban contro il Pride di Budapest: “evento ripugnante e vergognoso”
Sono state forti le parole del primo Ministro Ungherese, che ha fortemente criticato la marcia del Pride svoltosi a Budapest. “Un evento ripugnante e vergognoso, ordinato da Bruxelles”. Secondo il Premier uomini con i tacchi, drag queen sul palco e volantini sulla terapia ormonale “Sono ciò che accadrebbe in Ungheria se non ci fosse un governo nazionale a proteggere la nostra sovranità”. Rimane tuttavia ignoto come si possa ledere la sovranità di uno Stato manifestando per la libertà sessuale.
La sovranità, per definizione, riguarda il controllo di uno Stato sui propri confini, le sue leggi e le sue istituzioni, e non si misura in alcun modo nella varietà delle espressioni identitarie che una società democratica può avere. Del resto se qualche bandiera LGBT bastasse per minare l’indipendenza di uno Stato, forse il problema non è quello dell'identità di genere, ma la fragilità dell’idea di sovranità stessa.
Il Pride non ha solo infastidito Viktor Orban, ma anche il nostro Presidente del Senato Ignazio La Russa, che sui social ha espresso le sue perplessità sull’impegno democratico di chi ha partecipato alla sfilata di Budapest. “ Chissà se qualcuno dei politici Italiani presenti in questi giorni in Ungheria si è ricordato di portare almeno un fiore ai martiri del ‘56”. Provocazione che ha avuto subito una risposta dal leader di Azione, Carlo Calenda, che era presente alla sfilata LGBT insieme ad Elly Schlein ed altri deputati di M5S E AVS, che afferma: “Caro La Russa, ti è andata male. Sono andato a rendere omaggio ai martiri del ‘56 prima del Pride. Ritenta dopo che avrai buttato la statua di Mussolini.” Il Presidente del Senato ha ribattuto nuovamente sui social: “ Caro Calenda, sei così egocentrico da pensare che mi riferissi a te? Il mio post era per chi non ha mai condannato i Comunisti Italiani che appoggiarono l’invasione Sovietica”.
E così, mentre in Ungheria si marcia per i diritti, in Italia si marcia sul posto, in una danza sempre più folle tra revisioni storiche e risposte sui social, in cui i fiori per le vittime del ‘56 diventano armi retoriche e politiche. La domanda a questo punto, non è più chi ha portato un fiore a Budapest, ma chi porterà un minimo di lucidità a favore di un dibattito politico che in questo momento pare più ossessionato dai fantasmi del passato che dai diritti del presente.
A cura di Stefano Pelliccia
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